I Simple Agreement for Future Tokens: alcune ipotesi di inquadramento giuridico

Parole chiave: SAFT – token – contratto – blockchain

Autore: Avv. Michele Branzoli

SAFT è l’acronimo per “Simple Agreement for Future Tokens”, cioè, letteralmente, accordo semplice per token futuri.

Si tratta di uno strumento negoziale che consiste nell’impegno a trasferire token di futura emissione contro corrispettivo: apparentemente si tratta di uno schema negoziale estremamente funzionale allo sviluppo di imprese che operano nel settore digitale, ma, allo stato, lo è solo potenzialmente.

L’utilizzo relativamente scarso che se ne fa dipende, in larga misura, dalla difficoltà di darne un inquadramento giuridico che sia al contempo solido dal punto di vista teorico e (di conseguenza) certo per quanto attiene ai profili applicativi.

Le nuove tecnologie e il diritto: una premessa di metodo

Prima di entrare nel merito del problema, occorre però una premessa di carattere generale.

Il pensiero giuridico è essenzialmente categoriale: il giurista applica le categorie del diritto per fare di un fatto un fatto giuridico.

In questo modo, lo scambio di una cosa contro denaro diventa contratto di compravendita, con tutto il corollario di diritti o obblighi, casi e sotto casi, eccezioni e sottotipi che ne consegue.

Quando nel mondo appare un oggetto nuovo, dunque, il giurista si trova a dover affrontare una scelta: in primo luogo può applicare le categorie esistenti.

Questa operazione può a sua volta richiedere o di estendere le categorie di riferimento, o, alternativamente, di riconcettualizzare l’oggetto al fine di adattarlo ai paradigmi giuridici esistenti.

Per fare un esempio di questo tipo di operazione, basti pensare che è possibile registrare alla SIAE il codice di un software, come se fosse un testo di qualunque altra natura.

L’ampliamento delle categorie esistenti, invece, può avvenire o tramite l’applicazione estensiva di norme vigenti, ovvero tramite l’introduzione di norme nuove.

 Del resto, in generale, tutti gli oggetti del mondo digitale – che, non a caso, vengono colloquialmente definiti “virtuali” – sono difficilmente leggibili nell’ambito della dicotomia reale – obbligatorio di cui è intessuta inestricabilmente la disciplina dei contratti contenuta nel nostro Codice civile.

E questo è tanto più vero negli ordinamenti cosiddetti di civil law, in cui la fonte primaria del diritto è la legge, che mancano della flessibilità e dell’adattabilità che connotano i sistemi di common law, in cui invece la fonte primaria del diritto è l’interpretazione dell’autorità giudiziaria. 

Non a caso, l’unica disciplina dei SAFT che si può trovare oggi è americana: la SEC ha infatti chiarito che, poiché questi contratti devono essere trattati come titoli, per via della loro idoneità alla circolazione, rientrano nell’ambito di applicazione del “securities Act” del 1933.

Dovendo tentare una qualificazione giuridica di questi strumenti negoziali alla luce del diritto italiano (e, necessariamente, eurounitario), comunque, si dovrà fare riferimento alla cornice metodologica cui si è fatto cenno sopra.

Il TOKEN fungibile e le sue funzioni

Il primo  passo da compiere è, dunque, quello di chiarire, per quanto possibile, e nei limiti in cui è necessario per il fine che ci si propone, la natura e funzione dell’oggetto dell’indagine.

Il SAFT è uno strumento negoziale che si colloca nell’alveo delle cosiddette ITO (initial token offering).

L’offerta di token fungibili avviene nell’ambito di una blockchain ed ha, di norma, funzione di finanziamento per attività in fase di avviamento.

Per quanto riguarda la disciplina complessiva di questo genere di operazioni, si rimanda al Rapporto finale della Consob del 2 gennaio 2020 su “Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività.

Quanto invece specificamente ai SAFT, essi pongono due problemi: il primo riguarda la natura giuridica del token, ed il secondo la disciplina contrattuale applicabile.

Per indagare la natura giuridica del token, occorre preliminarmente darne una definizione: il token è un tipo di cripto-asset o cripto attività che consiste in un codice alfanumerico rappresentativo di diritti di vario tipo, e trasferiti su base crittografica mediante blockchain.

I diritti connessi al token sono indicati in un documento detto whitepaper, che contiene l’illustrazione del progetto imprenditoriale e tutte le relative informazioni; i token sono ceduti contro corrispettivo, che può essere determinato in valuta fiat o in criptovalute.

Da ultimo, occorre osservare che i token possono essere utilizzati come strumenti di pagamento (payment – token), di investimento (investment – token), come titoli di credito relativi a beni o servizi (utility – token), o, infine, in forma mista tra le precedenti (hybrid – token).

Da qui discende che il token può, alternativamente, essere qualificato in diversi modi.

Anzitutto può essere considerato, sic et simpliciter, come una cosa, ossia un bene mobile suscettibile di formare oggetto di diritti come qualunque altro oggetto del mondo fisico.

In questo caso, però, si avrebbe una peculiarità interessante rispetto agli altri beni mobili: questi infatti possono essere registrati, come le automobili o i natanti, i cui passaggi di titolarità sono certificati da pubblici registri, oppure non registrati, nel qual caso si applica la regola sintetizzata con la locuzione “possesso vale titolo”, che consiste in ciò: che il possessore di un bene mobile ne è considerato legalmente il proprietario fino a prova contraria.

Poiché la titolarità dei token si trasferisce tramite la blockchain, la conseguenza sarebbe quella di avere un bene mobile ibrido, cioè, la cui proprietà sarebbe attestata in modo certo, anche se non tramite uno strumento dotato di efficacia normativamente determinata.

Questo, almeno, finché non sarà attribuito valore legale alla certificazione delle transazioni effettuata tramite una blockchain, ma su questo si tornerà in un’altra occasione.

Il token può anche essere qualificato come titolo di credito, secondo la disciplina degli articoli 1992 e seguenti del codice civile – e questo appare particolarmente indicato per i cosiddetti utility-token, ma anche per i payment-token, laddove fosse prevista la possibilità di convertirli in denaro.

Ancora, si potrebbe qualificare il token come un certificato: ossia come un documento avente la funzione di comprovare la titolarità di una certa posizione giuridica soggettiva.

Infine, si potrebbe qualificare il token come documento contrattuale, ossia come manifestazione (lato sensu) scritta della volontà, unilaterale o reciproca, di dare luogo ad una determinata regolamentazione di rapporti giuridici a contenuto patrimoniale.

Ora, va detto che l’elencazione di ipotesi formulata qui non necessariamente esaurisce l’intera gamma delle possibilità, non potendosi escludere che la creatività di ciascun interprete possa consentire di escogitare ulteriori possibilità classificatorie.

Inoltre, sebbene nessuna delle possibilità immaginate mostri controindicazioni o criticità tali da imporne l’esclusione, nessuna appare così evidentemente convincente da prevalere nettamente sulle altre.

Naturalmente, l’auspicio è che, come ha fatto la CONSOB, così anche il legislatore intervenga sulla materia delle cripto-attività con una necessaria attività definitoria e classificatoria.

Il SAFT come contratto: ipotesi di inquadramento

Ad ogni modo, le diverse possibilità di inquadramento del token conducono alle seguenti ipotesi sul SAFT, che muovono in ogni caso dalla premessa che certamente si tratta di un contratto, come la parola agreement conferma con certezza.

Si tratta però di capire a che tipo di contratto ci si trova di fronte.

In primo luogo, pare opportuno vagliare l’ipotesi che si tratti di un contratto preliminare, ossia dell’impegno a stipulare un contratto che trasferisca la titolarità del gettone, una volta avvenuta l’emissione.

A giudizio di chi scrive si tratta di un’ipotesi interessante soprattutto per la particolare disciplina dei contratti preliminari contenuta nell’articolo 2932 del Codice civile, che autorizza il creditore, in caso di inadempimento, ad ottenere dall’Autorità giudiziaria una sentenza che produca gli effetti del contratto che doveva essere stipulato in forza del preliminare. 

Questo consentirebbe di mitigare, almeno in parte, gli effetti della difficile coercibilità delle obbligazioni relative ad oggetti virtuali.

Il SAFT potrebbe però essere anche qualificato come un contratto, sic et simpliciter: in questo caso si tratterebbe di individuarne con chiarezza l’oggetto, per poterne dedurre il tipo contrattuale di riferimento.

Infatti, il token, considerato come cosa non ancora venuta ad esistenza potrebbe formare oggetto di un contratto di compravendita di cosa futura.

Anche in questo caso, non si vedono particolari controindicazioni, sotto il profilo giuridico: nemmeno l’ipotesi di token considerato come contratto potrebbe essere del tutto incompatibile, attesa la cedibilità (anche) dei contratti.

In questo caso, l’unica eventualità problematica è quella dei token di non certa emissione, perché, realisticamente, in questo caso dovrebbero essere predeterminate le conseguenze in termini restitutori o risarcitori, a meno di non voler considerare il SAFT come un contratto aleatorio tout court, ipotesi che ci si limita a riferire ma che non è il caso di indagare diffusamente in questa sede.

L’alternativa è considerare l’atto in sé di trasferire il token come oggetto non mediato del SAFT. 

In questo caso, il SAFT sarebbe un contratto che obbliga l’emittente a tenere una condotta determinata al verificarsi del presupposto indicato – cioè l’emissione del token.

Questa ipotesi, sebbene astrattamente accettabile, appare però praticamente problematica.

Infatti, se i token di cui si tratta sono fungibili, con tutto ciò che ne consegue in termini di certezza dei rapporti giuridici, la condotta consistente nel trasferire una determinata quantità di quello specifico tipo di token non lo è.

Il che rende questa opzione gravemente disfunzionale in termini applicativi.

Il SAFT come derivato

L’ultima questione da valutare è quella dell’idoneità del SAFT a circolare, cioè a formare, a sua volta, oggetto di atti di trasferimento di natura contrattuale.

Vale la pena di fare un cenno a questo aspetto perché, nel documento richiamato poco sopra, la Consob ha affermato che, se sussistono certi presupposti, l’emissione e conseguente offerta di token assume i connotati dell’offerta al pubblico di strumenti di investimento, e deve quindi essere assoggettata alla disciplina contenuta nel TUF.

Qualora il SAFT definisse l’attribuzione di token in questo contesto, dovrebbe evidentemente essere qualificato come un contratto derivato, le la sua disciplina, conseguentemente, sarebbe assimilata a quella dello strumento finanziario – cioè, nella fattispecie, il token – oggetto del contratto a monte del derivato stesso.

La vastità delle implicazioni e l’attuale incertezza giuridica impongono di non proseguire oltre in questo primo tentativo di sistematizzazione della materia: si deve, tuttavia, ribadire la convinzione che in questo, come in tutti gli altri e diversi ambiti di azione economica, una maggiore certezza della cornice giuridica di riferimento, da perseguire con il contributo degli interpreti e degli operatori del settore, ma anche- auspicabilmente – con l’intervento del legislatore, potrà liberare energie e creatività in un ambito, come quello della blockchain e delle sue numerosissime possibilità di utilizzo, dal potenziale entusiasmante e dalle prospettive quasi illimitate.


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