Autore: Laura Cucchiara
La direttiva europea n. 2015/2436 e ha invitato gli stati membri a riformare la propria disciplina nazionale in materia di marchi di impresa, al fine di garantire maggior omogeneità di trattamento e tutela, all’interno della Comunità.
Su questa base, il Governo italiano con legge delega legge 25 ottobre 2017 e successivo d.lgs. 20 febbraio 2019 n. 15 ha modificato il Codice della Proprietà Industriale di cui al D.lgs n. 30/2005.
La riforma ha toccato vari aspetti della disciplina nazionale ma le novità di cui interessa occuparci in questa sede riguardano, in particolar modo, la modifica in materia di marchio collettivo e l’introduzione del marchio di certificazione.
Sui marchi collettivi, preliminarmente, va detto che secondo l’originaria disciplina, la funzione era quella di distinguere i prodotti o servizi dei membri della associazione titolare da quelli di altre imprese invece, a seguito dell’introduzione della novella, perdono la propria funzione di garanzia sull’origine, natura o qualità di determinati prodotti e servizi per divenire fonte di uso plurimo del segno e per la dissociazione fra ente titolare e utilizzatori, proprio come definiti dall’art. 27.1 lett. b) Direttiva Europea 2015/2436.
Inoltre, anche la titolarità del marchio viene soggetta a modifica: l’art. 3 del decreto 15/2019, con la modifica dell’art. 11 CPI, ne dispone la preclusione alle società di capitali in favore delle persone giuridiche di diritto pubblico e alle associazioni categoria (fabbricanti, produttori, commercianti, etc.).
Come anticipato, se da una parte si trova una sostanziale modifica codicistica che riguarda la già esistente disciplina del marchio collettivo, appena dopo, all’art. 11 bis, si rinviene l’introduzione di quello che può essere considerato una sub specie di marchio collettivo: il marchio di certificazione.
Per la corretta definizione, viene nuovamente in aiuto la già menzionata Direttiva Europea che, all’art. 27.1 lett. a), li identifica come marchi idonei a distinguere i prodotti e i servizi certificati dal titolare del marchio, in relazione al materiale, al procedimento o altre caratteristiche da quei prodotti o servizi che non sono, invece, certificati.
Quello che, invece, sempre, in forza di espressa disposizione della novella, non può divenire oggetto di certificazione ex art. 11 bis, è la provenienza geografica.
Peraltro, a differenza di quello collettivo, per il marchio di certificazione può essere richiesta la registrazione anche da parte di persone fisiche o giuridiche: ciò che rileva è che tali soggetti non svolgano attività inerenti la fornitura di prodotti e servizi del medesimo tipo di quello certificato.
Tale specificazione ha il chiaro intento di fornire ulteriore garanzia alla certificazione conferita.
Ciò che accumuna entrambi i tipi di marchio, invece, è l’obbligo di accludere all’atto della registrazione il regolamento d’uso: una specifica dettagliata sulle prescrizioni del servizio o del prodotto tutelato, rispettosa dei requisiti previsti dall’art. 157 C.P.I., naturalmente anch’esso opportunamente coinvolto della modifica nel 2019.
La riforma, invece, ha inciso solo parzialmente è la disciplina relativa ai requisiti di validità del marchio, già contenuta nel codice previgente: in particolare ha ribadito la necessaria sussistenza del requisito di novità con la modifica all’art. 12 e della liceità e non contrarietà con diritti di terzi con la revisione dell’art. 14.
I marchi, collettivi o di certificazione che siano, trovano, come noto, la genesi della titolarità nell’atto di registrazione: il primo effettivo passo per attribuire il riconoscimento al proprio prodotto o servizio.
I diritti conferiti dalla registrazione trovano espressa disciplina nell’art. 21 del CPI anch’esso modificato in gran misura dalla novella nel 2019.
In particolare, secondo la nuova formulazione il diritto di marchio registrato non consente al titolare di vietarne l’uso nell’attività economica purchè, chiaramente, l’uso sia conforme ai principi della correttezza professione o non ingeneri un rischio di confusione sul mercato con altri segni distintivi.
In altri termini: un terzo può utilizzare il marchio a patto che sia espressamente autorizzato previa verifica, se ci si riferisce al marchio di certificazione, oppure quando il prodotto o servizio offerto fa espresso riferimento alle qualità che il marchio stesso esprime, se ci si riferisce al marchio collettivo.
Posto che la disciplina sostanziale ha così ampiamente subito l’influenza europea, anche le procedure di registrazione non potevano restare estranee al medesimo processo di unificazione ed avvicinamento, tanto voluto dalla direttiva europea in parola.
Infatti, seppur ogni paese abbia potuto mantenere la propria procedura di registrazione, parallelamente, sono stati istituiti anche ulteriori strumenti volti a unificare la tutela e, per l’effetto, favorire lo scambio tra nazioni.
Per garantire la tutela nazionale italiana, l’istanza di registrazione deve essere proposta avanti l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM), anche in via telematica.
Nel caso, invece, in cui si volesse estendere la tutela del marchio a tutti i paesi Europei, occorre presentare l’istanza al preposto Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (European Union Intellectual Property Office – EUIPO).
Di pregio è poi, l’estensione automatica della domanda nazionale alla tutela europea.
Infatti l’istanza circoscritta al territorio italiana può essere estesa a tutti i paesi dell’Unione; se la richiesta entro sei mesi dal deposito nazionale italiano, la data del marchio esteso a livello europeo coincide con quella del deposito nazionale.
Volendo coinvolgere ancora un maggior numero di nazioni, oltre i confini europei, è possibile depositare istanza di registrazione presso l’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (World Intellectual Property Organization – WIPO) istituita nel 1967 e che, attualmente, offre tutela agli oltre 120 paesi che hanno aderito all’accordo di Madrid del 1966.
Da ultimo, occorre chiarire cosa accade una volta proposta la domanda nazionale di registrazione, la durata della tutela che ne deriva e, soprattutto, in quali casi un soggetto terzo potrebbe rappresentare doglianze nei confronti del marchio depositato e con quali conseguenze.
Quanto al deposito della domanda l’art. 156 CPI, anch’esso sostanzialmente modificato dall’art. 20 del D.lgs. 15/2019, dispone in maniera capillare i requisiti minimi dell’istanza e l’art. 157, di nuova introduzione, detta espressamente la disciplina in materia di marchio collettivo o di certificazione.
Particolare attenzione merita il c. 1 bis che elenca le indicazioni indispensabili per il regolamento d’uso al quale il richiedente, a pena di inammissibilità della domanda, deve attenersi.
L’Ufficio competente, una volta ricevuta la domanda procederà con la verifica dei requisiti minimi e, entro i successivi sei mesi, accoglierà o rigetterà l’istanza.
In caso di registrazione, la tutela si estenderà per i successivi dieci anni: il titolare del diritto avrà poi l’onere di richiederne il rinnovo entro gli ultimi 12 mesi di scadenza del decennio in corso o nei sei mesi successi al mese di scadenza.
Venendo ora alle azioni che possono coinvolgere i marchi registrati, corre l’obbligo illustrare il particolare procedimento avanti la Commissione dei ricorsi chiamata a pronunciarsi sui procedimenti amministrativi di decadenza e nullità
Sempre a seguito della riforma, la materia ha subito una forte innovazione nel 2019 con la modifica degli artt. 135 e 135 e con l’introduzione degli articoli che vanno dal 136 bis al 136 terdecies CPI.
Le nuove disposizioni suddividono le diverse fasi del procedimento ed introducono alcune regole tipiche del nostro codice di procedura civile creando, quindi, un processo istruito e deciso in maniera del tutto simile a quelli trattati avanti all’autorità giudiziaria, comprensivo di fase cautelare e di esecuzione.
Di particolare interesse è il procedimento di opposizione alla registrazione avanti all’ufficio italiano brevetti e marchi, proposto per far valere impedimenti alla registrazione o per far valere una precedente registrazione da parte del titolare di un marchio già registrato o del licenziatario dell’uso esclusivo del marchio.
In tal caso, in ossequio alla disciplina procedurale già accennata, UIBM dovrà aprire un procedimento, compiere la necessaria istruttoria e emettere una decisione.
Proprio in merito alle decisioni dell’UIBM, si ritiene particolarmente significativa, la natura delle pronunce emesse e la decorrenza degli effetti che ne conseguono: la decisione di decadenza o nullità di un marchio ha portata erga omnes e quindi opponibile ai terzi ma la relativa decorrenza può determinarsi in momenti differenti.
La decadenza della registrazione (totale o parziale) produce effetti a decorrere dalla data di deposito della domanda di decadenza o quella anteriore in cui è maturata una causa di decadenza.
La nullità, invece, produce effetti ab origine e quindi fin dalla data di registrazione.
Per dover di completezza si segnala che il Consiglio dei ministri ha approvato lo scorso 6 aprile il “Disegno di legge di revisione del CPI”.
Il piano strategico di riforma trae origine dall’invito a formulare strategie nazionali rivolto ai singoli Stati membri dalla Commissione UE, e si pone come ambizioso obiettivo quello di aggiornare ed implementare una strategia del nostro Paese sulla proprietà industriale per il triennio 2021 – 2023.
Quella del 2019 pertanto è stato solo l’inizio delle novità in materia e si attende di vedere quali saranno le prossime innovazioni.
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